Missione Tuscani


La più recente incursione della delegazione Bigusto Food è stata effettuata in Toscana, nelle zone del Chianti e della Val D’Orcia, nella seconda settimana di Agosto 2008.
Il nostro punto di approdo e di soggiorno per i primi tre giorni è stato il Campeggio Semifonte, un tranquillo e verde campeggio destinato ad ospitare prevalentemente famiglie, ubicato sulle verdi colline di Barberino Val D’Elsa, al confine occidentale della zona del Chianti Classico. Giunti al camping in serata, montata la tenda alla luce del tramonto, abbiamo inaugurato ufficialmente il Bigusto Tour chiedendo alla proprietaria del Camping, una toscana doc, dove potevamo andare a cena per assaggiare alcuni piatti tipici toscani. La signora, intuito che non cercavamo pizzerie o simili, ci ha indirizzati alla trattoria “La Sosta di Pio VII”, nelle vicinanze di Barberino, così chiamata perché Papa Pio VII (siamo in periodo napoleonico), affaticato da un lungo viaggio, vi si fermò per urinare accanto ad un abbeveratoio tutt’oggi esistente all’interno della trattoria.


L’impressione iniziale è stata ottima. Un’antica stalla in pietra, non eccessivamente rimaneggiata, corredata all’esterno da un ampio pergolato e da un fienile arredato come una stanza di cent’anni fa: particolare curioso e pittoresco.
Cena ottima, prezzo contenuto: un antipasto abbondante di bruschette con salumi, formaggi e verdure, un risotto con zucchine e zafferano (il soffritto era inequivocabilmente stato fatto con il lardo speziato della tradizione toscana), un abbondante tagliere di formaggi tipici toscani e verdure, caffè e grappa (offerta dalla casa, molto più morbida di quelle del nord Italia): il tutto per 30 euro. Chiacchierando con il personale, abbiamo scoperto che il locale richiama clienti anche da altre regioni per gustare la Bistecca alla Fiorentina.

Consegnata la Tutela Bigusto, fatti i dovuti complimenti, siamo tornati al Campeggio e, dopo lunghe chiacchiere al chiaro di luna accompagnate da un ottimo nocino che ci eravamo provvidenzialmente portati via da Parma, abbiamo terminato la serata.


Il giorno seguente, risvegliati dal calore del sole sulla tenda, abbiamo deciso di fare colazione a Barberino, un meraviglioso piccolo borgo medievale perfettamente conservato, circondato da possenti mura interrotte solo dalle due grandi porte.
Lì abbiamo scoperto una bottega che emanava un profumo davvero invitante: una volta entrati, siamo stati inebriati dall’aroma dei cantucci appena sfornati, e di altre delizie come il pane fritto e diverse torte dolci e salate, preparate secondo le ricette locali. Dopo aver fatto una piccola scorta di leccornie, ci siamo messi in viaggio verso Panzano in Chianti, patria del macellaio “poeta della fiorentina” Dario Cecchini, una delle motivazioni che ci hanno spinto a trascorrere le vacanze in Chianti. Inutile dire che il viaggio è stato piacevole, tra le verdi colline inondate dal sole d’agosto, i cipressi, le viti, gli ulivi. Ogni angolo avrebbe meritato una sosta.


Giunti a Panzano, trovata l’Antica Macelleria Cecchini, siamo entrati con lo stendardo Bigusto bene in vista, e il batticuore per l’emozione.A sinistra, dietro l’alto banco della storica macelleria, lui: Dario, due metri di toscanaccio verace alle prese con le sue adorate bistecche. In bella vista, le specialità più conosciute della macelleria: i cosimini, specie di polpettoni di carne cotti al forno e serviti con una salsa agrodolce rigorosamente di produzione Cecchini; il burro del Chianti, una crema di lardo aromatizzato con varie spezie, da usarsi al posto del burro in cucina o da spalmare semplicemente sul pane per godere di tutto il suo sapore, che richiama le antiche tradizioni contadine; e poi carne di tutte le specie e tagli, tra i quali spiccava la celeberrima costata alla fiorentina. Tolto lo sguardo da quel ben di Dio, alla nostra destra abbiamo notato un omino con un fiasco di vino in mano, davanti ad un tavolo imbandito con assaggi, crostini, olio, lardo, di tutto un po’. Ci ha offerto un bicchiere di Chianti (ovviamente, di produzione Cecchini), ma noi prontamente estraiamo dalla borsa una bottiglia di Valpolicella classico, che ci eravamo portati appositamente per l’occasione.
Eh, sì: uno degli aspetti più caratteristici della
Macelleria Cecchini è che ognuno è libero di portarsi il proprio vino.
Ci presentiamo a Dario dicendo di avere tanta fame, e lui ci fa accompagnare al piano superiore dove si trovano i suoi ristoranti, che poi in realtà è uno solo che cambia nome in base al menù che il cliente sceglie.










A mezzogiorno funzionano il MacDario, che in pratica consiste in un pranzo veloce (il tempo di attesa è al massimo di quattro-cinque minuti) a base di un medaglione da 250g di carne macinata, patate al forno, verdure e pane (al costo di 10 euro) oppure il Menu Accoglienza: pinzimonio di verdure, tonno del Chianti (spalla di vitello lessata e condita con olio d’oliva e cipolla rossa cruda) , sushi del Chianti (tartara di carne tagliata al coltello con olio d’oliva e limone), arista in porchetta, cosimino in salsa ardente (ne abbiamo già parlato...) , acqua, pane, caffè (rigorosamente della
moka, e servito con una fetta di torta fatta in casa), digestivo dell’esercito italiano (che significa tre bottiglie, grappa, enocordial e china, lasciati sul tavolo a discrezione del cliente). Inutile dire che abbiamo optato per il Menu Accoglienza, che incredibilmente, vista la quantità e la quantità delle libagioni, ha un costo fisso di 20 euro. E qui è arrivato il bello: noi della delegazione Bigusto, decisamente rallegrati dal Valpolicella e dagli Amari dell’Esercito Italiano, ci siamo intrattenuti con Dario Cecchini che, estremamente disponibile e godereccio, ha retto orgogliosamente il nostro stendardo e ci ha offerto un bicchiere di un ottimo vino appena portatogli in assaggio da un rappresentante umbro. Come non parlare poi di Dante e Gianmarco, che ci hanno accolto, servito ed intrattenuto fino all’arrivo di Dario, arrivato dopo la chiusura della macelleria...



























Una Missione Bigusto dall’esito eccellente, cibo ottimo, prezzo contenuto e conclusa insieme al mito della buona tavola toscana.
Ma anche l’antica macelleria Cecchini aveva il suo orario di chiusura, e così, ancora inebriati dall’atmosfera magica del posto, ci siamo avviati alla ricerca di una cantina che Gianmarco, uno dei camerieri di Dario, ci aveva caldamente consigliato: si chiamava Fontodi, ma non siamo riusciti a visitarla. Lungo la strada, abbiamo incontrato per caso un laghetto meraviglioso (laghetto di volpaia), appartato, e vista la temperatura (erano le quattro di un pomeriggio di agosto particolarmente afoso) non abbiamo resistito alla tentazione di bagnarci i piedi, issando anche lì il glorioso stendardo, e facendo amicizia con un distinto signore che, dopo una nuotata, si sollazzava in riva al lago con le parole crociate.










Una volta rinfrescati, eccoci di nuovo a bordo della Panda, decisi a visitare almeno un altro borgo nella zona. Dopo esserci perduti in mezzo a stradine bianche e vigneti, quasi per caso (ce ne aveva accennato il cameriere di Cecchini) siamo giunti a Volpaia, un gioiello, un borgo interamente in pietra, splendidamente conservato, ancora abitato ma a quell’ora deserto, eccezion fatta per l’enoteca e il ristorante del paese; un tramonto meraviglioso ci ha fatto da guida attraverso le sue strette viuzze. Lo stesso tramonto che ci ha accompagnati al campeggio di Barberino, dal quale poi siamo scesi per recarci alla vicina pizzeria che ci ha offerto una cena semplice semplice, rimedio agli eccessi del “mezzogiorno Cecchini”.
Tornati in tenda, dopo una breve sosta siamo usciti a piedi, nell’adiacente ristorante “Bustecca”, a bere l’amaro che avrebbe chiuso la nostra seconda giornata chiantigiana. Tornati in campeggio, dei ragazzi di Monza (gli unici italiani giovani ospiti del camping) ci hanno fatto visita, tentati dal nocino parmense che gli avevamo proposto. La giornata è quindi terminata in lunghe e piacevoli chiacchiere.

Il terzo giorno, l’ultimo del nostro soggiorno a Barberino, abbiamo deciso di visitare il borgo di Certaldo, a circa mezz’ora di macchina dal nostro campeggio, la città natale di Giovanni Boccaccio, il godereccio poeta del Decameron. Dopo una breve salita in funicolare, eccoci nello splendido centro storico, conservato alla perfezione, tanto da sembrare quasi finto. Molti turisti, qualche locale pseudo-tipico, moltissimi ristoranti che spesso occupano terrazze e giardinetti interni con vista sulle colline del Chianti. Dopo un aperitivo a base di Chianti Classico e bruschetta con formaggio e marmellata di cipolla di Tropea (abbinamento indovinatissimo, peccato per il locale, pieno di confezioni di prodotti toscani ad uso dei turisti più sprovveduti), abbiamo individuato un ristorante che, dall’esterno, sembrava il più storico, il più tradizionale. Amara sorpresa quando, trovato posto al tavolo, abbiamo constatato che la pulizia non era delle più accurate e che il cestino del pane conteneva tre misere fettine di pane raffermo, probabilmente precotto e scongelato. Senza attendere un istante, ci siamo alzati e siamo usciti. La nostra scelta si è così rivolta ad un altro ristorante, L’Antica fonte, situato su entrambi i lati di una stradina secondaria e silenziosa: da una parte la cucina e la sala interna, dall’altra il bellissimo giardino estivo. L’intuito ci aveva consigliati bene: tagliere di salumi e formaggi con marmellate e verdure, una pasta fatta in casa con fonduta di formaggio di fossa, vino, caffè ad un prezzo contenuto, circa 25 euro in due. Dopo una breve visita a Certaldo, dove siamo rimasti colpiti da una fontana coperta da una tettoia (non sia mai che ci piova sopra...) siamo scesi verso il paese basso, dove come nostro solito abbiamo chiesto consiglio a due ragazzi del posto su quale cantina ci consigliassero per acquistare un buon vino ad un prezzo onesto.

Eccoci dunque di nuovo in macchina, diretti verso l’azienda agricola Rubicini, poco distante da San Gimignano: veniamo accolti dal giovane titolare che, assieme alla sorella e al cognato, si occupa dell’azienda. A fianco del casale è stata costruita una piccola sala da degustazione, dove il nostro giovane viticoltore ci propone il meglio della sua produzione. Prima i bianchi, come la vernaccia di San Gimignano, poi i rossi, tra i quali ci colpisce positivamente il Pepe Nero, un rosso barricato pluripremiato, profumato e corposo. Compriamo qualche bottiglia, e mentre finiamo le degustazioni raccontiamo al giovane titolare la filosofia e la missione della Bigusto. Decidiamo che il posto merita una Tutela Bigusto Food, e lui, orgoglioso e divertito, incolla l’adesivo con la Tutela accanto alle altre segnalazioni delle guide turistiche: un momento impagabile!









Salutato il nostro nuovo amico ci avventuriamo alla scoperta del luogo, senza una meta precisa. Dopo una breve sosta in un campo di ulivi deserto , appartenente probabilmente ai frati del convento sovrastante il terreno, ci dirigiamo verso Barberino, decisi a tornare all’osteria La Sosta di Pio VII per assaggiare finalmente la tanto decantata bistecca alla Fiorentina, dopo un aperitivo in un’osteria biologica nel centro storico di Barberino. Forse perché ad ordinarla era una ragazza magrolina che l’avrebbe mangiata tutta da sola, la fiorentina che abbiamo assaggiato era più simile ad una bistecca qualunque, sicuramente non corrispondente allo standard di peso di una fiorentina doc













Buona, comunque; come buono è stato il dolce, una granita all’anguria con panna e cioccolato, abbinamento insolito ma fresco e sorprendentemente gradevole, seguito da caffè e grappe locali. Dopo la cena, abbiamo fatto ritorno al campeggio per quella che sarebbe stata l’ultima notte trascorsa in Chianti.

Il giorno seguente infatti, smontata la tenda, ci siamo diretti verso la Val D’Orcia; la strada, dopo tanta bellezza vista nei giorni precedenti, ci sembrò triste e “qualunque”, tanto da farci pentire della scelta di lasciare il Chianti; ma appena imboccata la Cassia Antica (che prosegue fino a Roma), il paesaggio è cambiato; le colline erano un po’ più spoglie di quelle del Chianti, dal momento che era appena avvenuta la trebbiatura, ma il paesaggio era comunque incantevole: balle di fieno ovunque, cipressi ad incoronare i crinali delle colline. Lungo la strada ci imbattiamo in un borgo a noi sconosciuto, Buonconvento, segnalato dall’insegna comunale come uno dei più bei borghi d’Italia e molto simile, nelle sue stradine interne, al dedalo delle calli veneziane.














Proseguiamo il nostro cammino verso Montalcino, decisi a scoprire il perché di tanta notorietà. L’impatto non è stato dei migliori: un parcheggio affollatissimo di turisti, tutti attratti dai negozi tutti uguali, che proponevano bottiglie di Brunello sicuramente di qualità scadente a prezzi esorbitanti, e tutti comunque affollati di gente che, senza alcun discernimento, si affrettava a portarsi a casa un souvenir enologico di quella disneyland per falsi intenditori. Un po’ delusi, decidiamo comunque di addentrarci un po’ nelle strade della cittadina (montalcino), e ci imbattiamo in un alimentari dalla cui porta d’ingresso si scorgeva una meravigliosa cantina di pietra. Ci è sembrato il posto meno turistico di tutto il paese, così siamo entrati chiedendo di poter vedere la cantina, che un tempo era stata probabilmente una stalla; alle pareti, salumi e formaggi lasciati a stagionare, oltre che numerosissime bottiglie di vino che avevano un’aria decisamente meno triste di quelle ammassate nei negozi per turisti. Chiacchieriamo con la signora dietro al banco, le chiediamo un consiglio su dove andare a mangiare qualcosa di tipico senza essere derubati. Ci consiglia un ristorante a due passi dalla sua bottega, Il Moro, che dall’esterno sembrava una di quelle pensioni per famiglie della riviera romagnola. E invece...sorpresa! Ci fanno accomodare nella piccola terrazza esterna, dalla quale si scorgeva un’antica chiesa romanica e si poteva ammirare un panorama mozzafiato sulla Val D’Orcia.










Bruschetta come antipasto (con abbondante aglio, su nostra richiesta), coniglio al Brunello, pollo arrosto e verdure grigliate: cibo semplice, ma preparato in modo magistrale, qualità ottima, buon vino, il tutto ad un prezzo quasi stracciato. Questa è la conferma che la nostra abitudine a chiedere consiglio agli autoctoni è sempre la via migliore.
Ma il viaggio doveva proseguire, perciò eccoci pronti a chiedere consiglio al titolare del locale su quale cantina visitare nel pomeriggio. La scelta è caduta sull’azienda agricola Fornacella, a due passi da Montalcino (fornacella).


































Ci accoglie una signora portandoci nella cantina, dove il pittoresco marito era intento a ridipingere le pareti. La degustazione è stata, nemmeno a dirlo, piuttosto impegnativa: tra un Rosso di Montalcino e un Brunello, i due coniugi ci hanno spiegato la provenienza delle botti (legno della “Slavonia”, parole loro), l’affinamento del Brunello, fino a quando non siamo giunti a spiegare loro che cos’è la Bigusto; Tutela, ovviamente, ben meritata; la signora che attacca orgogliosamente l’adesivo Bigusto ben in vista, sotto il listino prezzi. Compriamo qualche bottiglia, una sola di Brunello visto il prezzo che, nonostante la semplicità del luogo, è comunque molto caro, 18 euro la bottiglia. I due proprietari si guardano, e lui dice a lei di ritappare le bottiglie che avevano aperto appositamente per la nostra degustazione e di regalarcele. Così, ci mettiamo in macchina con un cartone di bottiglie di vino e altre due bottiglie quasi piene, delle quali una contenente il prezioso Brunello.
A questo punto, ci si pone un problema: trovare un campeggio in Val D’Orcia. Decidiamo di fare tappa a Pienza, patria del celeberrimo pecorino, che cadeva giusto lungo il nostro itinerario. Molto meno turistica rispetto a Montalcino, anche Pienza era comunque costellata di pseudo-enoteche che proponevano Brunello e formaggi a prezzi proibitivi. Una breve passeggiata nel centro storico, e incontriamo un negozio davvero insolito: alle pareti, scansie traboccanti dei formaggi più disparati, pecorini d’ogni taglia e forma, stagionati con le erbe e le spezie più svariate: La bottega del naturista cattura immediatamente la nostra attenzione, anche per merito della banconiera, una ragazzotta bionda che sembrava più tedesca che nostrana. Rapiti dai colori e dai profumi delle muffe che ricoprivano le prelibatezze casearie locali, abbiamo acquistato due pecorini, uno stagionato sotto il fieno, più fresco, ed uno invecchiato, entrambi sottovuoto per evitare che il lungo viaggio in macchina li rovinasse.













Rimaneva però ancora irrisolto il problema campeggio: pare che nella zona non sia una forma di accoglienza turistica molto diffusa. Avevamo saputo dalla ragazza dell’Agenzia di Promozione Turistica di Pienza che esisteva un “agri-campeggio” nelle vicinanze, ma era difficilmente raggiungibile per la totale assenza di indicazioni stradali. Era proprio in mezzo al nulla. Dopo un lungo, lunghissimo girovagare, che ci portò quasi a pensare di terminare in anticipo il nostro viaggio, siamo giunti in questo luogo magico. Una stradina bianca, di ghiaia, costeggiata di cipressi, che sembra finire in nessun luogo, e poi, in alto sulla collina, Il Casale.
























Posto rustico, poco adatto a chi cerca il lusso e gli agi di un hotel, ma dall’accoglienza calorosa della signora tedesca che, assieme alla sua famiglia, l’ha trasformato in un agriturismo che accoglie anche quelli che, come noi, cercano solamente uno spazio dove campeggiare in tranquillità. Al nostro arrivo ci hanno fatto piantare la tenda, poi ci hanno spiegato il funzionamento della struttura: una grande sala comune, con uno stranissimo camino a tema circense e un bar con tanto di macchina del caffè e frigo fornitissima, dalla birra al vino, dal quale gli ospiti possono servirsi liberamente annotando le consumazioni su un foglietto e pagando tutto alla partenza; la prima colazione, a base di ricotta fresca, caffè, marmellate fatte in casa è compresa nel modico prezzo di 9 euro a persona. Il Casale è infatti anche un caseificio, e vicino alla casa sentiamo il belare delle pecore. Seguendo i rumori degli animali, scopriamo accanto alla cascina i recinti con gli animali: pecore, capre, asini, cani e dei buffi gatti con dei ciuffi di pelo che li fanno somigliare a delle linci addomesticate. Subito abbiamo approfittato del frigo per riporvi il formaggio e le bottiglie di vino semi-aperte che avevamo in macchina, pensando che ne avremo beneficiato la sera, prima di andare a dormire. Chiediamo quindi ai prorpietari dove poter mangiare: quella sera l’agriturismo proponeva CousCous, ma noi eravamo decisi a scoprire qualche altro borgo nascosto e ad assaggiare ancora qualcosa di tipicamente valdorciano. Ci consigliano dunque di spingerci fino a Monticchiello, un borgo poco distante. Dopo esserci gustati una birra fresca alla luce del tramonto, partiamo per quella che sarebbe stata l’ultima sera del nostro viaggio. L’indomani, il giorno di Ferragosto, avremo approfittato del poco traffico per ritornare a casa.
Monticchiello ci ha subito affascinati: un piccolissimo borgo, come quello di Volpaia che avevamo visto in Chianti, ma pieno di gente che poco aveva a che fare con il turismo mordi e fuggi di Montalcino. In breve scopriamo che tale afflusso di persone era dovuto al teatro, che in quei giorni d’agosto offriva spettacoli all’aperto, nel pieno cuore del paese. Una piccola folla era assiepata a lato della cattedrale: ci avviciniamo, e con nostra sorpresa scopriamo che nei locali sottostanti la chiesa era stata allestita una trattoria, una specie di sagra paesana decisamente insolita. Il menu esposto all’ingresso proponeva piatti tipici a prezzi bassissimi: diamo il nostro nome e, in attesa di accomodarci, facciamo una breve passeggiata per le viuzze deserte di Monticchiello.

































Al nostro ritorno, ci fanno accomodare accanto a due ragazzi provenienti da un paese poco lontano, molto cordiali, che sembravano essere soliti recarsi lì a cena; chiediamo loro informazioni su quella strana trattoria, e ci dicono che ogni anno, nel mese di agosto, un noto ristorante del paese si trasferisce nei sotterranei della chiesa per aprire quella che viene definita “La taverna di Bronzone” . L’ambiente era splendido: sotto le antiche volte di pietra, tavoli di legno pieni zeppi di gente che mangiava soddisfatta. Ordiniamo un assaggio di cacio e pere, panzanella, roastbeef e ceci conditi con olio, sale e pepe. Una delizia, ad un prezzo irrisorio. Soddisfattissimi per la fortunata coincidenza di essere capitati nel posto giusto al momento giusto, dopo l’abbondante cena siamo andati in cerca di un digestivo nel ristorante che avevamo già visto al nostro arrivo, collocato dentro la porta di accesso alla città. E qui è successa una di quelle tipiche cose che capitano solo a chi cerca l’anima più autentica del territorio: un signore ci sente parlare con accento forestiero, si avvicina e inizia a raccontarci una serie infinita di aneddoti e barzellette sulla sua vita presente e passata; insieme a lui, la moglie, il figlio, la nuora e il nipotino. Così, dopo un bel po’ di chiacchiere, la famigliola ci invita il giorno seguente sui monti dell’Amiata, per il tradizionale pic-nic di ferragosto a base, ovviamente, di fiorentina della Val di Chiana. Dispiaciuti, abbiamo declinato l’invito perché consapevoli di dover fare ritorno a casa.
Una volta tornati all’agricampeggio, incontriamo Ivan, otto o nove anni, il biondissimo figlio dei proprietari del casale, tutto agitato perché in attesa dei tradizionali fuochi artificiali di Ferragosto. Andiamo nel frigo a prendere la nostra bottiglia di vino semi-aperta, due bicchieri, e ci mettiamo a cavalcioni del muretto in pietra sotto il pergolato affacciato sulla splendida valle di Pienza. Dopo poco assistiamo ad un magnifico spettacolo pirotecnico, ovviamente insieme al piccolo Ivan che sembra consapevole e felice di vivere in uno dei posto più belli al mondo.
Ci sorprende un po’ di tristezza al pensiero che l’indomani saremmo ripartiti, ma alla luce dei fuochi artificiali, seduti sul muretto in pietra a picco sulla Val D’Orcia, siamo consapevoli che il nostro viaggio non avrebbe potuto finire in modo migliore; l’anno prossimo torneremo lì, pensiamo, e continueremo lungo la Via Cassia, per visitare l’alto Lazio e i Castelli Romani fino alle porte della Capitale.

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